Poesia buona come il Pane, progetto di riqualificazione urbana
Con il sorriso il paesaggio si illumina ancora di più (Simone Perri, 5aA)
Sento un ululato di un lupo: i suoi passi sul terreno bagnato emettono uno scalpiccio,
ma io non ho paura perché so di non esistere. (Claudia Dominici, 5aA)
La Poesia è, come il pane, bene primario della vita umana. La Poesia è il pane che generazioni, culture, modus vivendi centrali e periferici, possono tornare a spezzare insieme per riqualificare in modo più poetico il proprio quotidiano vivere. La Poesia può rivelarsi agente straordinario per intrecciare o rigenerare relazioni interpersonali al fine di consolidare e far crescere un tessuto sociale urbano più umano. Ma chi è in grado di sfornare per tutti, ogni giorno, questo pane poetico tanto prezioso?
… / Le stelle lucevano rare/ tra mezzo alla nebbia di latte:/ sentivo il cullare del mare,/ sentivo un fru fru tra le fratte:/ … Giovanni Pascoli (autore di questi versi), C. Govoni, E. Bontempi, V. Lamarque e R. Piumini, solo per citare una manciata di poeti italiani, probabilmente, pur con inevitabili distinguo, risponderebbero in coro: il bambino.
Il bambino, l’anello più piccolo e fragile di una società, è senza dubbio il miglior panificatore quotidiano di poesia. Solo lui può scovare le persone sul mare/ che pescano la forza. (Carlo Carbonero, 5aC)
Il bambino non solo è cuore e tessuto connettivo della famiglia, della comunità, di una città e di una società, ma al contempo, la poesia che egli incarna, il suo linguaggio immerso nel preverbale, nell’interiorità, nel mito - come sottoscriverebbero i russi Leon Vigotskij, Roman Jakobson, Vladimir Propp e tanti altri - lo candidano ad essere il più naturale e principale agente poetico.
Ma al bambino è riconosciuto dagli adulti questo ruolo cruciale? La voce del bambino si rimpicciolisce e disperde con l’ingigantirsi a dismisura del contesto, il silenzio avvolge l’intero luogo/ e tutti i rumori in un momento/ si racchiudono come in uno scrigno/ con un lucchetto di suoni (Nadia Lamera, 5aA): le città-orco hanno da tempo smesso di tenere in considerazione le esigenze del bambino, la società-vampiro del consumismo addirittura ha adottato i bambini come principali leve per alimentare la macchina del falso bisogno. Cosa dovremmo fare? Invoca Stefano Santi di 5aB: Ascolta la mia voce./ è dolce e quando parli/ svieni./ La mia voce/ ha un sapore di ciliegia/ e di fragola.
Ma se i bambini, come anche i preadolescenti e gli adolescenti, sono l’ossimoro del senso della vita (traducendo liberamente Gianna Gelmi), il pane più fresco e caldo di un luogo, come possono essere messi nelle condizioni di
poter nutrire i loro luoghi e far lievitare l’uomo che abita il mondo? “Poesia buona come il Pane” offre una risposta concreta alla riqualifica umana di “luoghi comuni” affinché gli abitanti non si riducano a residenti (creando “l’antiville”, Ariès), e la politica non venga ridotta, anche nell’immaginario collettivo, a poltrone da occupare. Allora stiamo in guardia noi adulti, lo sguardo-oracolo di Matteo Gabiotti (5aC), ieratico, è in procinto di proferire: Grandi cespugli si inchinano/ davanti alla maestosità del faro,/ mentre io osservo taciturno.
Non è la prima volta che si stampano frasi o versi sui sacchetti del pane, ma perché l’azione culturale possa fregiarsi d’essere “poesia buona come il pane” non può prescindere da 5 punti:
- Avviare percorsi di scrittura e avvicinamento alla poesia tenuti da maestri/poeti, portatori di una didattica d’Autore nelle scuole dei Comuni che credono nel progetto (dove con credere non s’intende solo patrocinare e sostenere economicamente l’iniziativa ma anche collaborare attivamente al suo sviluppo, agevolando sinergie tra le realtà socio-economico e culturali in situ).
- I maestri/poeti che guidano i laboratori, oltre ad essere portatori di una didattica d’Autore, siano per quanto possibile del luogo. Essi sono da coinvolgere non per campanilismo ma perché chiamati a compartecipare di persona responsabilmente alla coltivazione del profilo poetico del proprio territorio.
- Stampare sui sacchetti del pane alcune poesie rappresentative dei percorsi poetici realizzati: valutando, come prima opzione, che siano i bambini stessi a scegliere i testi che veicoleranno la loro voce.
- Concordare con le rivendite locali che il pane venga distribuito agli abitanti imbustandolo nei sacchetti che riportano le poesie composte dai bambini di quella città o di quel quartiere.
I rivenditori locali di pane a cui rivolgersi siano innanzitutto i fornai, perché il mestiere del prestiné (panettiere) è ancora legato alla produzione artigianale e le panetterie costituiscono delle piccole attività commerciali in cui le relazioni sociali non sono disumanizzanti. - Coinvolgere prima di tutto, in modo trasversale, quanti più soggetti possibili che abitano il luogo (bambini, giovani, insegnanti, formatori, commercianti, amministratori, enti, fino alla cittadinanza tutta): partecipazione e responsabilità quanto più sono condivise dagli abitanti, tanto più possono valorizzare un tessuto di voci raramente o difficilmente ascoltato, anche nella definizione delle problematiche quotidiane di una città.
“Poesia buona come il Pane” nella e con la città di Brugherio, nel rispetto pieno dei 5 punti soprindicati, grazie ad una convergenza politica di assessorati, enti, associazioni, fondazioni, le tre scuole primarie (formatori e allievi), la Biblioteca, ha espresso al meglio la sua azione estetica “poeticizzando” l’intero Comune.
Sabato 20 marzo 2010, a poche ore dal primo giorno di primavera, proclamato dall’Unesco anche Giornata della Poesia, le tavole delle famiglie di Brugherio (e non solo) sono state imbandite di pane e poesie scritte dai bambini concittadini. Il pane ha nutrito il corpo, la poesia ha alimentato le emozioni, i sentimenti, le idee, lo spirito, l’anima: ogni fiocco di neve cade/ nei nostri occhi. (Melissa Grimoldi 3aB)
A Brugherio sono stati avviati sei laboratori poetici rivolti ai bambini delle scuole primarie della città. Come da progetto alcune poesie scritte dai bambini sono state stampate su 40.000 sacchetti che i panettieri e rivenditori utilizzano normalmente per confezionare il pane.
Una parte dei testi elaborati nei sei laboratori è raccolta nel catalogo che state sfogliando. Sono incluse sia poesie composte singolarmente che collettivamente: …/ Dentro un fruscio di voci,/ un ticchettio di matite farfalle/ di bambine./ Scriviamo su righe cigolanti/ alfabeti di versi. (Poesia collettiva, classi 5eA-B-C).
La prima presentazione pubblica di questo catologo avverrà in biblioteca nella mattinata del 15 maggio 2010, giorno in cui si festeggerà il Cinquantesimo Anniversario della Biblioteca Civica di Brugherio. Chi meglio poteva presentare il libro di “Poesia buona come il Pane”? Ancora una volta la risposta non concede esitazioni: i bambini- autori saranno corpo, voce e fantasia delle loro poesie. Il catalogo costituisce un fondamentale documento sulle ricerche di PoesiaPresente relative alla didattica d’Autore e, nel caso specifico, sui laboratori ludico-sinestetici di Gianna Gelmi, che attingono a piene mani dall’immaginario dell’infanzia (palloncini, bolle di sapone, uccelletti, neve…), guadagnandosi il merito di guidare il bambino a comporre poesie spontanee, senza intaccare la bellezza della loro ingenuità e ravvivandone l’imprevedibilità, come solo i bambini “sanno”: nuvole, chiaccherone;/ parlano di continuo/ di tutti i loro segreti. (Carlotta Planca, 3aB) “Poesia buona come il Pane” nel 2010, sempre all’insegna dell’arte come trasformazione sociale responsabile e consapevole (M. Pistoletto), si è sviluppato anche in altri luoghi: hanno goduto di pane e poesia, questo doppio ben di Dio, anche gli abitanti di Agrate e quelli dei quartieri milanesi di Corvetto e San Siro. I percorsi didattici sono stati avviati rispettivamente nella scuola primaria “E. Bontempi” di Agrate (guidati dal sottoscritto in sinergia con le poetesse agratesi Ada Crippa e Vera Tisot), nella scuola primaria di via Vallarsa del quartiere Corvetto (guidati dalla poetessa milanese Tiziana Cera Rosco) e con i preadolescenti del laboratorio Colibrì di San Siro (guidati dal poeta milanese Andrea Inglese).
In conclusione, bisogna afferrare come Silvia Napolitano della classe 4aB uno “Strano filo”: Oggi ho trovato,/ un filo di seta violetto./ L’ho trovato a galoppo…/ di un’oca;/ l’ho preso e lui/ mi ha abbracciato./ Infine si è allungato,/ così, arrampicandomi,/ sono salita fino alla luna.
Se da un lato il mattone costruisce case per, tra e intorno ai nostri corpi componendo, unità dopo unità, il nostro luogo urbano comune, dall’altro il verso illumina metropoli virtuali che condizionano il nostro paesaggio interiore; urbanisti, architetti, designer, politici spesso progettano l’esteriorità, dimenticando che ogni luogo ha prima di tutto una sua poesia da conservare, ristrutturare, progettare, costruire, rilanciare, una poesia interiore con cui rendere edificante la vita in Terra, come “ammonisce” Andrea Sardi di 5aC con “Vita al centro della città”: In mezzo a basse case/ si alza un enorme grattacielo/ proprio nel cuore/ della città./ L’antenna rossa e gialla/ spicca come una spada/ verso l’alto/ e tutte quelle luci/ rappresentano vita.
Dome Bulfaro direttore artistico di PoesiaPresente ideatore di Poesia buona come il Pane
Alambicchi di senso e antimagie
Un laboratorio di composizione costituisce ogni volta un’esperienza esistenziale quando, superata la soglia della Biblioteca, si entra simbolicamente nello spazio-tempo della poesia. È un luogo dove i bambini sono invitati a camminare in silenzio, in punta di piedi, in modo raccolto, ordinato dietro a un pensiero che si deve fare strada da subito: la poesia è soffio quasi impercettibile. Non è divertimento, è una danza: una faticosa costruzione di sé e ricostruzione del mondo nel modo migliore possibile.
Così le classi hanno potuto percepire la poesia: come una totalità sinestetica, corporea e insieme spirituale. Sono state assorte, hanno percepito che la realtà non è statica, ma in movimento in un flusso evolutivo verso il meglio che l’umanità possa esprimere. È la persistenza delle radici e insieme il mutamento delle forme, è stare bene in una sostanzialità che stupisce e allo stesso momento è sentirsi a disagio per la necessità di smantellare certezze e svelare novità. Nel laboratorio si assaporano silenzi, si affrontano movimenti nello spazio e moti interiori, stasi ed equilibri: si è costretti a pensare e pensarsi.
La crisi più determinante è come un rito di passaggio: si tratta di affrontare il dispiacere di abbandonare il porto caldo della rima e delineare il confine tra la filastrocca e la poesia. È un passo che determina smarrimento prima, compiacimento, poi, per il sentire dilatarsi il cuore nel riconoscere emozioni e sentimenti.
Come certi giochi si cambiano con l’età, così la parola- gioco della filastrocca , che esplora il mondo esterno con divertimento, può essere gradualmente sostituita dalla poesia che, servendosi della parola-simbolo, esplora il mondo interiore per proiettarlo sulla realtà. Il laboratorio segna proprio questo gradino determinante per la personalità e per la crescita e che stuzzica anche le capacità intellettive: dal grembo-trastullo della filastrocca che sa di magia e onnipotenza, allo spazio-cosmo della lirica che, se esplorato, apre allo stupore di chi scopre la propria forza e la propria fragilità.
È l’anti-magia, questa meraviglia, che pulsa dentro e rinnova ogni cosa coltivando la parola vera, piena di senso. Ai bambini costa fatica. La amata rima, che dava sicurezza, lasciata in un angolo freme per ritornare, lo sforzo di guardarsi dentro smuove emozioni e sentimenti non sempre facilmente controllabili. Questo lavorio di pensiero e di inquietudini, accresce tuttavia la propria consapevolezza e rende in grado di esprime l’inesprimibile elevando le possibilità del linguaggio.
Segue tuttavia fin da subito un’importante rassicurazione: la scoperta affascinante che l’errore non è errore, ma creazione, che inciamparsi nelle sillabe crea scompigli che sono matrici di significati nuovi, che scambiare le lettere può essere provvidenziale. In fondo una differenza minima passa tra un coniglio e un consiglio, fra tram e trame tra tonno e sonno. A chi si ingarbuglia la penna e si impunta la parola qualche idea fantasma può insinuarsi nel ragionamento, irriverente e propizia, ad accendere il foglio. Chi sbaglia trova: è una lode all’imperfezione che permette esplorazioni di significati.
Si scopre anche che la poesia e le altre arti non possono prescindere una dall’altra: che il poeta è pittore, calligrafo, musicista, che scolpisce forme con il solo scalpello della parola. Si constata che il verso si può voltare e rivoltare come fa un sarto con i tessuti, o tagliare e al contrario allungarne l’orlo, che si può farlo impennare come andando in bicicletta, che a volte urta qualcuno, a volte lo conforta e che le primavere e gli uccellini non sono necessariamente materia privilegiata di poesia, perché persino l’immondizia o la rabbia repressa hanno pari dignità della felicità e del profumo di gelsomino in fiore.
Innamorati di immagini o alla ricerca dell’unica adatta in quel preciso punto della costruzione, come di una pietra filosofale che muti in oro tutte le altre, i bambini sono stati invitati a trovare i punti deboli e forti della strofa, a scompaginare la forma liberandola da costrizioni metriche o al contrario a rimisurare il ritmo per disciplinare l’entusiasmo creativo. Sono stati invogliati a servirsi del dizionario come di una miniera, delle figure retoriche come di trucchi per invenzioni personali o da condividere, usandole prima ancora di capirne per intero le potenzialità, come chi faccia pratica di guida senza bisogno di smontare il motore.
Per scrivere poesia i bambini si sono mossi, hanno danzato, mimato, cantato, recitato o taciuto. Hanno disegnato e colorato, sono diventati fiori di ghiaccio, hanno volato provando a respirare con i talloni per sollevarsi da terra, come insegnano certi nativi americani e soprattutto hanno attribuito importanza ai più insignificanti particolari, al piccolo e all’immenso, al compagno disinvolto e a quello in imbarazzo, a chi correva avanti con il pensiero, a chi si perdeva in meandri di contemplazione o si bloccava impaurito.
Qui, infatti, in questo luogo della poesia che rimescola pensieri e valori, succede spesso che chi a scuola non figura granché acquisti maggiore consapevolezza delle proprie possibilità: non si fa poeta chi è bravo a scuola, ma solo chi si lascia trasportare da un inatteso cominciamento, da una grande o piccola forza che impazza e che plasma. Proporre ai bambini di scrivere è in definitiva un ossimoro:
è azione insensata piena di senso. È una follia da ammaliati dalla vita, è impresa forsennata da Don Chisciotte contro il mulino a vento del pensiero omologato: in una sola parola è da poeti.
Giovanna Gelmi
diario di un’esperienza
I bambini e le bambine delle classi 3a A e 3a B della Scuola Primaria “A. Manzoni”
Avvicinare gli alunni al mondo della poesia; stimolare i bambini affinché giocando con le parole, imparassero a costruire una nuova tipologia di testo; fare in modo che gli alunni provassero ad esprimere i loro sentimenti attraverso la parola scritta: queste le finalità con le quali abbiamo aderito al laboratorio sulla poesia. L’incontro con la poetessa Gianna Gelmi, per gli alunni della 3aA, ha suscitato subito entusiasmo perché il suo approccio è stato molto concreto, grazie alla drammatizzazione di alcune situazioni. Per i nostri alunni tutto ciò è risultato molto stimolante perché li ha condotti a produrre testi poetici ricchi di fantasia ed emozioni personali, quasi sorprendenti per noi insegnanti.
Per gli alunni della 3aB noi insegnanti all’inizio abbiamo espresso alcune perplessità sul fatto che il lavoro sul testo poetico potesse essere una richiesta troppo alta, vista la classe di appartenenza. Invece durante il percorso ci siamo piacevolmente ricredute perché l’attività è risultata molto stimolante per gli alunni che, giocando con le parole e le frasi proposte, componevano testi poetici originali e ricchi di sentimenti.
L’attività di scrittura li ha così entusiasmati che successivamente, sia in classe che a casa, componevano poesie in ogni momento libero e su qualsiasi argomento.
Le finalità sono state raggiunte al di sopra delle nostre aspettative ed è stato un momento particolarmente formativo per tutti noi.
Le insegnanti: Isabella Capozzo, Libera Diurno, Edi Magli, Patrizia Vecchio
classe 3aA
L’arcobaleno di sapone
Sembra un arcobaleno di sapone
l’astuccio trasparente che ha matite trasparenti
e colorate. Tutti i bambini giocano sempre
con le bolle di sapone, l’orizzonte sereno spunta a poco a poco
si posa sulla sedia! La bolla scoppia
il bimbo urla:
perché!!!
è scoppiata e pensa: Va bèh!
Matilde Barzaghi
***
Fiocco d’argento
Lacrime argentee: il fiore iridescente
si posa con un canto soave che rincuora
ritmato da neve brillante.
Sinfonia ghiacciata e stelline luccicanti.
Francesca Bucci
***
La bolla felice
Riflesso trasparente
di una luna piena lucente dorata.
La bolla sale con il bimbo e i bimbi giocano.
E una bolla spunta dalla cannuccia
che ballonzola senza direzione.
E un bimbo dice che bella
la bolla!
Ma si scoppiò.
Mattia Caggiano
***
Fiori di neve
Girandole di ghiaccio stelle gemelle
rami azzurri
i fiori di neve
brillano di incandescenze fredde, fragili come
vetro che gira nell’aria trasparente di riflessi.
Immobili come statue d’inverno rigidi e luccicanti
ci fanno piangere di luce, di lacrime d’argento
e ridere del cielo.
Manuel Caldarola
***
classe 3aA, scuola primaria “A. Manzoni” 17
Come la luce
Come luce splendente
come se fosse
lucciole
come vetro che si apre
l’onda che luccica
e che cammina.
Cristiano Carizzoni
***
La notte d’inverno
La notte d’inverno è una notte
molto, molto fredda.
I fiocchi di ghiaccio scendono
delicati e appena sono a terra
si rompono.
Un dolce ticchettio li rompe tutti.
Anch’io sono un fiore di ghiaccio
e anch’io ho le mie possibilità
di volare nel cielo libera,
e volare via.
Elena Colorini
***
Un bambino immaginario
Si vede un bambino
immaginario,
in un cammino
dice molte parole
da una porta:
lasciamolo entrare.
Andrea Cucciniello
***
Il camaleonte
Un camaleonte
trasparente che
fluttua nel cielo.
La bolla sale nel cielo
brillante e dorata
sale su e infine
scoppia si mimetizza
nell’aria.
Matteo Giovanardi
***
La bolla magica
La bolla magica
C’è una bolla magica
che viaggia in cerca
di sapone
e con una magia
tu ti ritrovi dentro.
Gabriele Diana
***
Bolle come?
Sono sfere di cristallo
leggero,
che volando io tento
di afferrare.
Sono palline trasparenti
che salgono in cielo,
luccicanti e dorate.
Leggera mi lascio trasportare;
pian piano si appoggiano
sull’erba
e si illuminano
come raggi di sole.
Martina Grassia